domenica 30 dicembre 2012


Era uno dei motivi che mi rendeva fiera di essere italiana, di essere donna.  Era la dimostrazione che si può essere gli esseri più affascinanti di questa terra con il cervello e la cultura, prima ancora che con il corpo. Era il mio ideale di vecchiaia, dignitosa e nobile, pacata e sorridente. Era "una piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa". Era uno spirito grande.

domenica 23 dicembre 2012

Lo so che ormai è terribilmente mainstream odiare le festività natalizie, ma non ci posso fare niente, è più forte di me. Ogni anno festeggiamo l'uccisione della spontaneità e il trionfo dell'ipocrisia.
E tutti quei parenti in ogni angolo della casa. E i parenti dei parenti che si autoinvitano!

Poi ci sono le eccezioni.
Grazie a dio ci sono le eccezioni.

giovedì 20 dicembre 2012

Ho scoperto di credere a un sacco di cose:
  1. Credo che Guccini sia il più grande cantautore sulla piazza e che sappia usare le parole come pochi.
  2. Credo che anche certi altri, comunque, se la cavino.
  3. Credo nel PCI di Berlinguer, come vi può credere una diciannovenne nostalgica che mai ha conosciuto Berlinguer (né tantomeno il PCI).
  4. Credo che i principi del comunismo siano la cosa più simile alla giustizia terrena che un folle duemila anni fa predicava in Galilea.
  5. Credo che l'indifferenza e l'apatia siano i due più grandi mali del mondo. Seguiti dalla stupidità. Anche se non ho ancora capito se quest'ultima sia una colpa o uno stato di natura.
  6. Credo nella capacità degli uomini di cambiare le cose. Sta a loro decidere se in meglio o in peggio.
  7. Credo che non sia tutto economia, come in tanti oggi si ostinano a sostenere.
  8. Credo nelle poesie, nelle canzoni, nei bei libri, nelle storie. A volte ti aiutano a capire te stesso e il mondo.
  9. Credo che Che Guevara avesse più ragione che torto.
  10. Credo che Stalin, Mussolini, Hitler avessero (quasi) solo torto.
  11. "Credo che è l'amore che ci salverà".
  12. Credo che non odierei così tanto la matematica se una buona volta venisse applicata alla realtà non solo per piastrellare una superficie ma in maniera più utile: risorse della terra diviso numero degli abitanti.
  13. Credo che quasi tutto sia relativo.
  14. Credo che i tramonti siano meno miracolosi delle albe, ma sicuramente più romantici.
  15. Credo nella cioccolata, nel pane con la mortadella, nelle lasagne.
  16. Credo che alla fine capiremo. Anche se forse, a quel punto, non sarà poi così importante.

mercoledì 19 dicembre 2012

Quando si ha a che fare con un'assenza, di qualsiasi tipo, le parole diventano inutili.
Perdono di significato.
C'è sempre bisogno dell'altro dall'altra parte.

Indignez-vous!


È UN'INDECENZA! UNA COSA SCANDALOSA!
Non può ricandidarsi di nuovo!

Ho scommesso con mio papà una pizza che non l’avrebbe fatto.
Non posso perdere.

martedì 18 dicembre 2012

Una chiacchierata con papà

Avevo scritto una poesia sulla neve e su quanto quest'ultima renda tutto più candido e pulito. Mi sentivo felice e in pace con il mondo. Ero felice come un bimbo. Ma poi l'ho riletta da sobria e mi sono accorta che è veramente imbarazzante. E mi sono accorta anche di non aver mai pubblicato una riflessione fatta un po' di tempo fa dopo una discussione avuta con mio padre. Quindi eccola, direttamente dalla me di due mesi fa.
Meglio tardi che mai.


Noi italiani abbiamo sempre trovato il modo di cavarcela grazie alla nostra capacità di "cambiare bandiera" quando la situazione cominciava a farsi buia. In termini più gentili si potrebbe dire che abbiamo una grande capacità di adattamento, una propensione al "trasformismo", un'ottima abilità nell'analizzare le situazioni e altrettanto ottimi riflessi. Insomma, siamo un popolo che "sa stare al mondo", come si dice. Un popolo in grado di cacciarsi nelle situazioni peggiori e comunque, in qualche modo, bene o male, di venirne fuori.
Ma a che prezzo?
Il prezzo è un imbarazzante relativismo morale.
Il prezzo è che siamo tutti, allo stesso tempo, santi e assassini, eroi e farabutti, combattenti per la patria e traditori.
Così l'Italia è al tempo stesso il "partigiano traditore", ma anche il "fascista traditore". Entrambi traditori, di cosa esattamente non lo sa nessuno.
Perché se il "giusto" sta chiaramente "dalla parte" del partigiano, altrettanto vero è che il termine partigiano raccoglie al suo interno una molteplicità di idee, di aspirazioni, di progetti, di debolezze anche. La base comune è l'antifascismo e la lotta per la Liberazione, ma poi le sfaccettature sono infinite. Non dimentichiamoci, ad esempio, che i fascisti della prima ora sono diventati poi, in molti casi, gli antifascisti dell'ultima. Se a muoverli sia stata la paura, un calcolo di convenienza o una sincera presa di coscienza è difficile stabilirlo. E non dimentichiamoci nemmeno che gli eroi partigiani, in molti casi, alla fine della guerra, si lasciarono andare a violente e a vendette contro coloro che durante gli anni del regime avevano, più o meno con convinzione e buonafede, appoggiato il duce.
Non mancano ovviamente i casi di personaggi integerrimi, come ad esempio Emiliano Rinaldini, nell'ordine cristiano, maestro e partigiano, che aveva fatto del servizio agli altri la sua missione e che il 27 luglio del 1943, all'indomani dell'arresto di Mussolini e della caduta del fascismo scriveva:

"Dobbiamo essere contenti dell'accaduto, ma dobbiamo pur guardare realisticamente a quello che ci resta da fare. Il lavoro da fare è enorme. Riuniamo le nostre forze con lo spirito cristiano d'unità e attendiamo gli ordini. Sentiamo la responsabilità del momento, la responsabilità assunta in questa libertà. Non allontaniamoci, non andiamo in vacanza, per essere poi ancora una volta desiderati assenti. Siamo col popolo se manifesta idee buone."

Non andiamo in vacanza.
Siamo col popolo se manifesta idee buone.

Ci ha detto tutto, tutto quello che serve sapere per costruire uno Stato decente.
Partecipazione e capacità critica. Basta indifferenza, basta populismo.
Dopo settant'anni non l'abbiamo ancora capito.

Mi fa male pensare queste cose, mi fa male parlare con mio padre, che crede che l'unica soluzione per "noi giovani" sia lasciare questo Paese e andare all'estero. E non è l'unico a pensarlo. E avranno anche ragione.
Ma non riesco a darmi per vinta. Anche se non so quale sia il modo per risolvere la cosa.
Forse uno è cominciare a crederci, convincersi che abbandonando la nave che affonda forse salveremo noi stessi, ma di certo non potremo impedire che quella nave si inabissi.
E a questo punto le cose si fanno abbastanza semplici.
La domanda da porsi è solo una:
"Mi accontento di salvare me stesso, sono soddisfatto così, oppure credo che non mi serva a nulla la felicità personale se non so condividerla con gli altri e se non so fare in modo che anche gli altri la possano raggiungere?"

P.S. E non si tratta di mettersi la coscienza a posto con l'elemosina, le opere pie o il volontariato.
Si tratta di creare le condizioni affinché il benessere tanto osannato sia effettivamente raggiungibile da tutti. Altrimenti è solo pubblicità, sono solo parole a vanvera. E fra altri settant'anni il discorso sarà sempre questo.
E a quel punto chi si azzarderà a parlare di progresso dovrà essere imprigionato per calunnie e sfruttamento della credulità popolare.




mercoledì 28 novembre 2012

L'Ultima Thule

Io che ho doppiato tre volte Capo Horn
e ho navigato sette volte i sette mari
e ho visto mostri ed animali rari,
l'anfesibena, le sirene, l'unicorno.

Io che tornavo fiero ad ogni porto
dopo una lotta, dopo l'arrembaggio,
non son più quello e non ho più il coraggio
di veleggiare su un vascello morto.

Dov'è la ciurma che mi accompagnava
e assecondava ogni ribalderia?
Dove la orza che ci circondava?
Ora si è spenta ormai, sparita via.

Guardo le vele pendere afflosciate
con i cordami a penzolar nel vuoto,
che sbatton lenti contro le murate
con un moto continuo, senza scopo.

E vedo in aria un'insensata danza
di strani uccelli contro il cielo bigio
cantare un canto in questo mondo grigio
un canto sordo ormai, senza speranza.

E qui da solo penso al mio passato,
vado a ritroso e frugo la mia vita,
una saga smarrita ed infinita
di quel che ho fatto, di quello che è stato.

Le verità non vere in cui credevo
scoppiavano spargendosi d'intorno,
ma altre ne avevo e giorno dopo giorno
se morivo più forse rinascevo.

E ora son solo e non ho più il conforto
di amici andati e sempre più mi assale
la noia a vuotar l'ultimo boccale
come un pensiero che mi si è ritorto.

Ma ancora farò vela e patirò
io da solo, e anche se sfinito,
la prua indirizzo verso l'infinito
che prima o poi, lo so, raggiungerò.

L'Ultima Thule attende al Nord estremo,
regno di ghiaccio eterno, senza vita,
e lassù questa mia sarà finita
nel freddo dove tutti finiremo.

L'Ultima Thule attende e dentro il fiordo
si spegnerà per sempre ogni passione,
si perderà in un'ultima canzone
di me e della mia nave anche il ricordo.

Di me e della mia nave anche il ricordo.


Francesco Guccini
Ho sempre detto di temere la vecchiaia più di ogni altra cosa e di voler morire giovane.
Ma se qualcuno può assicurarmi che invecchierò come Rita Levi Montalcini, allora potrei anche rivedere le mie posizioni.

sabato 3 novembre 2012

Non capisco mai se sono io a non saper parlare o se sono gli altri a non essere in grado di capirmi.
Forse non so spiegarmi.
Con tutta probabilità, però, il problema è che ognuno è cieco a tutto tranne che alle sue ragioni.
E così passiamo le nostre giornate a scontrarci, a urtarci, a pestarci i piedi. Anche senza cattiveria, non siamo in grado di comprendere le ragioni dell'altro.
Ma la comprensione è qualcosa che appartiene all'amore. Era evidente e chiaro fin dal principio, quindi, che non potesse essere nostra.

sabato 6 ottobre 2012

Per scrivere bisogna vivere, non c'è immaginazione che tenga.
Perché per immaginare bisogna saper vedere.
E solo chi vive vede.
E vedere non è guardare, questo va ricordato.

mercoledì 26 settembre 2012

Le grandi abitudini dimenticate

Quando andavo all'asilo mia mamma tutte le mattine metteva nella tasca del mio grembiulino un fazzoletto di stoffa. Oggi ho aperto l'armadio della mia vecchia camera e ho trovato la scatola di cartone in cui erano conservati tutti quei fazzoletti colorati, sempre ricoperta dalla stessa carta da regalo rosa di un tempo.
Mi ha ricordato che le nostre giornate sono attraversate da consuetudini che il tempo trasforma. Quel fazzoletto nella tasca era un quadrato di casa che mi seguiva all'asilo, che rimaneva sempre a portata di mano, al sicuro nella tasca.
Non uso quei fazzoletti da anni, sono stati sostituiti da quelli di carta, più pratici e igienici. Ma rivedere quella scatola, con quei quadrati di stoffa colorata ben piegati, è stato come scoprire che, senza rendermene conto, ho lasciato dietro di me molto più di quando io non creda.
Crescere è strano.

martedì 25 settembre 2012

Ho in tasca un amore

Ho in tasca un amore
lo stringo nella mia mano
me lo rigiro fra le dita
ci gioco e lo accarezzo.
Lo immagino mio
invento un futuro
io, che temo il domani
più della morte stessa,
progetto un divenire.

Ma mai che riesca
a trovare il coraggio
di estrarlo, di esporlo
alla luce e alle ombre di questo mondo,
che sembra poter accettare tutto
all'infuori di un amore.

giovedì 13 settembre 2012

ODE ALL'IPOD PERDUTO

Ti supplico Apollo lungisaettante, per la tua arpa,
tu che apprezzi la buona musica,
proteggi il mio Ipod, ovunque esso sia.
Fa che non cada nelle mani di napoletani 
amanti di Gigi D'Alessio,
di truzzi discoteca-maniaci, 
di tredicenni cerebrolese.
Proteggilo da Laura Pausini, 
e dagli Amici di Maria.
Se non puoi farlo tornare a me, 
almeno fa che venga recuperato
da un amante di pallosi ma sinceri
cantautori genovesi e bolognesi.

E tu, compagno di mille viaggi,
fedele amico, coraggioso bisbiglio,
tu che mi riportavi Voci dal passato
e rendevi meno cupo il presente,
non ti dimenticherò.

Amen.
Prosit.
Trallallà.



(Miracolosamente ho ritrovato il suddetto Ipod. Da qui la mia decisione di diventare immediatamente politeista. Apollo esiste.)

martedì 28 agosto 2012

Promemoria:

"Secondo lei, solo i rivoluzionari all'indomani della vittoria e i grandi primitivi sanno scopare come si deve. Gli uni e gli altri hanno l'eternità in testa, scopano al presente dell'indicativo, come se dovesse durare per sempre. In qualsiasi altro posto al mondo si fotte al passato o al futuro, si commemora o si costruisce, ci si perpetua o ci si moltiplica, ma nessuno si occupa di se stesso. [...] Voglio dire occuparsi di sé, qui, dell'uno e dell'altro, in questo momento, di te e di me..."

Daniel Pennac, Il paradiso degli orchi

domenica 26 agosto 2012

Oggi ho visto una rondine morta.
Sono uscita dal portone di casa ed eccola lì, ai miei piedi.
Piena di formiche.
Il cerchio della vita che si chiude.
Fossi Pascoli scriverei dei suoi pulcini, della loro vana attesa.
Ma magari era una rondine single. E non aveva pulcini a carico.

mercoledì 15 agosto 2012

Gli occhi del vecchio

Seduto sulla seggiola, ingobbito,
torna ritto e fiero quando comincia il racconto.
I suoi occhi riprendono a vedere chiaramente,
non sono più offuscati dagli anni,
perché gli anni li annulla il ricordo.

Mi racconta di quella volta
quando lui e suo nonno,
di notte, nel monte
vennero sorpresi dal temporale.
Mi racconta del riparo,
due rami e una coperta,
e dei funghi che a migliaia
il mattino dopo erano spuntati.

Quasi si commuove nel ripensare
alla professoressa di italiano,
che tanto gli fece amare la poesia.
Come in suo onore si lancia
recita Leopardi, Dante,
la pioggia di D'Annunzio,
lo sguardo alto, la mano tesa,
non sbaglia un verso
per quella maestrina appassionata.

I baffi nascondono un mezzo sorriso
quando pensa agli scherzi, alle bravate;
da ragazzo e da uomo
lo hanno sempre accompagnato.
Strizza gli occhi, con aria complice
mi stringe un braccio,
mi indica le sigarette fumate di nascosto
il profumo dei mandarini,
mangiati per mascherare l'odore del fumo.
E mille altre risate gli tornano alla mente
e gli occhi gli si illuminano,
torna ragazzo e sembra pronto
a ripartire correndo,
fuori dalla casa, nel campo,
fra i meli e le viti.

Gli occhi ora sono lontani,
persi sui volti di personaggi
quasi mitici, bizzarri e magici,
buffoni e signori, folli e saggi,
morti da mezzo secolo, ma
così vivi nella sua memoria
che quasi anche a me
sembra di conoscerli,
di vederli accanto al fuoco,
vicini a una finestra,
su un camion carico di pali e di fieno.

A tratti sorride,
poi s'incupisce, interrompe
il racconto, scende il silenzio.
Rimane lui solo con i suoi occhi
persi nel passato di qualche ricordo lontano
o forse tesi in avanti, con un po' di paura
ma con la forza di chi ha visto,
con la sicurezza di chi ha vissuto.

sabato 11 agosto 2012

Non so più scrivere.
La mia testa è vuota e non manda stimoli alle dita. Il mio cervello si rifiuta di analizzare quello che mi succede. E quindi mi ritrovo a fare errori madornali. O a non fare assolutamente nulla, che è anche peggio.
Si tratta di un vero e proprio rifiuto. Non voglio affrontare il presente, sfuggo dalle scelte che devo fare e dalle situazioni che devo risolvere.
Ma in questa generale apatia la lettura mi salva.
(Sorvoliamo sul fatto che la lettura è l'ennesima scappatoia dal mondo reale).
L'ultimo libro che ho letto è stato Lessico Familiare, di Natalia Ginzburg.
Gran bel libro che, fra le altre cose, mi ha fatto riflettere.
Non dovevo nascere negli anni Novanta dello scorso secolo.

Il sospetto di essere nata nell'epoca sbagliata ce l'ho da tempo. Il mio continuo tendere al passato è qualcosa che va al di là della semplice curiosità per la storia, è piuttosto un voler immergersi in una realtà già definita, conclusa in se stessa, quindi completa, sicura.
Certo, è un comportamento da perfetta vigliacca, me ne rendo conto.
Ma al di là di questo dico di essere nata nell'epoca sbagliata perché mi sembra di essere totalmente incapace di fronteggiare la realtà di oggi, la società odierna.
Mi mancano gli strumenti, mi mancano le parole per descriverla e per comprenderla. Mi ritrovo così a rimpiangere un'epoca più semplice, più "onesta". La rimpiango come se mi fosse appartenuta un tempo e l'avessi poi persa, mi fosse stata sottratta.

Non so a quale passato io appartenga.
Non so se la mia casa è la Parigi della Rivoluzione, l'America degli anni Sessanta o l'Italia del '45.
L'unica cosa che so è che mi sento estranea e straniera in questi anni del secondo millennio dopo Cristo.
Sento la mancanza di un tempo antico dove ancora esistevano le grandi passioni, l'odio e l'amore, la vendetta, la lotta. Un tempo dove il bene si distingueva dal male, dove il bianco e il nero non si mescolavano, come accade oggi, in un triste grigio che cancella le differenze. Mi sento orfana di un mondo in cui contavano ancora le idee, in cui esistevano gli uomini disposti a viverle, senza cedere ai compromessi.

Ma in fondo so bene che il Passato un tempo è stato Presente, è stato cioè confuso e incerto per le persone che lo stavano vivendo, come confuso e incerto mi appare il presente oggi, mentre lo vivo.
Cavolo, che pensiero contorto.
Voglio dire che ciò che oggi mi appare definito e chiaro un tempo era avvolto nell'incertezza e solo il velo della storia ha sistemato le cose.
La sicurezza è qualcosa che si conquista con il tempo, insomma.
Credo.

domenica 17 giugno 2012

Ricorda

Vorrei che ci ricordassimo
quando saremo delle vecchie signore
severe e compunte
di tutte le parolacce che abbiamo detto.
Di tutte le risate sguaiate, irrispettose,
fuori luogo, che per la strada
fanno girare i passanti.
Vorrei che ci ricordassimo
delle scarpe sul divano
dei vestiti arrotolati ai piedi del letto
delle lenzuola disfatte.
Delle briciole
sparse come una sfida
al candido del pavimento della cucina.
Vorrei che ci ricordassimo,
delle nottate passate in bianco,
perché in fondo riposare non è
una nostra priorità.
Dei libri letti, delle canzoni, dei bei film.
Delle favole e dei sogni.
Di come siamo capaci si stare ore e ore
senza fare assolutamente niente,
facendo tutto, allo stesso tempo.
Vorrei che ci ricordassimo
del nostro miracoloso disordine,
una volta che l'ordine ci avrà presi.
Della capacità di avere il tutto e il niente
fra le dita, nella testa.
Ti ho atteso, ma invano.
Non sei giunto, non sei più.
E qui  io mi struggo, perché
non so, non so
cercarti. Cercare te.

domenica 13 maggio 2012

Misteri

La vita umana è ricca di misteri. Misteri insolubili, incomprensibili.
Ad esempio:
Perché gli esercizi di matematica diventano improvvisamente irrisolvibili il giorno prima di un'interrogazione?
Perché le domeniche sono così tristi?
Perché il vino bevuto a canna è molto più buono?
Perché le mie relazioni sentimentali sono tanto disastrose?
Perché esiste l'esame di maturità?
Perché più una cosa è necessaria meno piace?
Perché la Nutella è così dannatamente buona?
Perché abbiamo 5 dita alle mani e ai piedi?
Perché l'accento romagnolo è così simpatico?
...

lunedì 23 aprile 2012

sabato 7 aprile 2012

Domande di un lettore operaio, Bertold Brecht

Chi costruì Tebe dalle Sette Porte?
Dentro i libri ci sono i nomi dei re.
I re hanno trascinato quei blocchi di pietra?
Babilonia tante volte distrutta,
chi altrettante la riedificò? In quali case
di Lima lucente d'oro abitavano i costruttori?
Dove andarono i muratori, la sera che terminarono
la Grande Muraglia?
La grande Roma
è piena di archi di trionfo.
Chi li costruì?
Su chi trionfarono i Cesari?
La celebrata Bisanzio aveva solo palazzi per i suoi abitanti?
Anche nella favolosa Atlantide
nella notte che il mare li inghiottì, affogarono
implorando aiuto dai loro schiavi.

Il giovane Alessandro conquistò l'India.
Lui solo?
Cesare sconfisse i Galli.
Non aveva con sè nemmeno un cuoco?
Filippo di Spagna pianse, quando la sua flotta fu affondata.
Nessun'altro pianse?
Federico II vinse la Guerra dei Sette Anni.
Chi vinse oltre a lui?

Ogni pagina una vittoria.
Chi cucinò la cena della vittoria?
Ogni dieci anni un grande uomo.
Chi ne pagò le spese?

Tante domande.
Tante vicende.

giovedì 1 marzo 2012

Caro amico ti scrivo,

perché è come se all'improvviso fossi stata costretta a realizzare che tutti quei tizi come te, tutti quei signori barbuti, un po' burberi, ma genuini, onesti intellettualmente e moralmente, tutti quei signori che scrivono, cantano e suonano le canzoni che mi salvano dal degrado mentale e che mi hanno insegnato, alla fine dei conti,
a vivere, non sono immortali.
E io non lo avevo mai realizzato veramente, non lo avevo mai focalizzato. E ciò mi destabilizza. come destabilizza la morte di qualsiasi persona a noi cara. Perché se si pensava di poter sempre contare sulla sua presenza, poi si è costretti a rivedere questa certezza. Si è costretti a rifare i calcoli.
Certo, "rimane la musica", come si affannano a ricordarci tutti.
Quelle canzoni, quelle parole almeno non muoiono, le avremo sempre. Basterà mettere su un disco, schiacciare un tasto, e le voci di coloro che se ne sono andati ritorneranno fra di noi, beffando la morte.
E noi, chiudendo gli occhi, potremo permetterci di cullarci nell'illusione consolatoria di credere che tutti loro sono ancora qui, ancora per noi, a spiegarci il mondo, a cantarci la vita.

"Ma l'America è lontana
dall'altra parte della luna."

venerdì 24 febbraio 2012

Che cos'é la libertà?
Quella che ti sembra di intravedere
sulle strade senza fine d'America.
Quella di un orizzonte profondo.
Che cos'é?
Perchè quelle strade, in realtà,
sono solo strade.
Da qualche parte, laggiù, più avanti
una fine l'hanno anche loro.

Allora forse la libertà è stare sdraiati
al primo sole di primavera
in una bella piazza,
un pomeriggio qualsiasi,
dopo una mattinata passata a scuola.

Anche se sai che non appena ti rialzerai
il peso di tutti i tuoi problemi,
di tutti i tuoi doveri,
di tutte le cose che hai rimandato
ti crollerà addosso,
finché rimani sdraiato sei libero.
Sei felice.
Finché rimani sdraiato sei immune.
Finché rimani sdraiato il mondo
e le sue assurde e caotiche problematiche
ti scivolano sopra, ti scavalcano,
per un attimo si dimenticano di te.

Sdraiatevi in una piazza
datemi retta,
lasciate che per un po'
il mondo vaghi frenetico senza di voi,
e allora
saprete essere liberi.

6/02/2010

E' completamente disarmante. Ecco, disarmante è la parola giusta, ci ho messo un po' a trovarla. Descrive bene quel vuoto, doloroso, come se a ogni battito il cuore potesse scoppiare. E tu vivi nell'ansia, aspettando elettrizzato ogni pulsazione, e quasi ti auguri sia quella fatale. Non per disprezzo della vita, assolutamente. Ora forse ho finalmente capito il suo valore, senza retorica. Ma per curiosità, credo: per la voglia di vedere cosa c'è dall'altra parte. Perché qualcosa ci sarà, dall'altra parte.
E allora non capisco più nulla. Non vedo una logica. Ma poi perché voglio trovarla a tutti i costi questa logica?! Forse semplicemente non ci deve essere.
No, non riesco a crederlo.
Allora la logica c'è, ma mi sfugge.
Sì, è sicuramente così.
Ecco perché è disarmante.
Perché tutta la nostra Ragione, tutta la nostra Scienza, tutto il nostro Progresso, tutta la nostra Intelligenza non possono assolutamente nulla di fronte alla morte. E sono questi i nostri appigli, per ogni cosa. Al di fuori di questi c'è il baratro. Ma davanti a una morte che spiegazione ti possono dare?
Perché? non rispondono a questa domanda. E io invece ho bisogno di una risposta. Ci deve essere un perché.
Perché quella macchina, proprio quella, esce di strada? Perché un cuore, proprio quello, scoppia?
Un mio amico dice che è colpa di noi uomini, del nostro stile di vita: si deve correre, si deve guadagnare, tempo e denaro. Correre, correre, correre...e alla fine la macchina sbanda, il cuore scoppia, o le cellule impazziscono e tu ti ritrovi con sei mesi di vita.
Forse ha ragione.
Ma il mio perché è ancora lì, è un perché diverso. Non so spiegarlo. E' solo un perché. Come quello dei bambini, che chiedono il perché di qualsiasi cosa, e vengono guardati male da tutti: "Perché è un tavolo?" "Ma che domanda è?! Non c'è un perché, è un tavolo, punto!".
Ecco, il mio perché è uguale a quello dei bambini. Non avrà senso, ma per favore, non rispondetemi: "Si muore, punto." Non lo sopporterei.
Come spieghi il dolore? Sì, perché il problema non sta tanto in chi è morto. Esso ha raggiunto la pace, o il nulla, o quello che preferite. Comunque è...salvo. E' libero.
Il problema sta in chi rimane. Rimane solo, senza un appiglio. Con una sconcertante e dolorosa incredulità.
Non ho paura di morire, davvero, l'ignoto che ci aspetta dall'altra parte mi spaventa molto di meno di quello che mi riserva il mio futuro più immediato.
Quello che mi terrorizza è vedere gli altri andarsene, vederli scomparire. No sono abbastanza forte.
Tutti dicono che chi muore non se ne va totalmente, ma rimane sempre accanto a noi.
Non è vero. Rimane solo il suo ricordo, la sua immagine sbiadita nella memoria. Un pallido fantasma di quello che è stato, niente di più.
Non puoi abbracciare un ricordo, non puoi toccarlo, baciarlo, piangere sulla sua spalla.

" An angel weeps, I hear him cry
A lonely prayer a voice on high,
Dry all your tears, come what may,
And in the end the sun will rise on one more day, 
Hey ... the sun will rise on one more day. "



Per P.

mercoledì 22 febbraio 2012

lunedì 20 febbraio 2012

Hai presente quell'attimo di onnipotenza che si sente quando ti riempi profondamente i polmoni di aria, fino in fondo, per urlare, con tutta la tua forza, con tutta la tua disperazione o la tua gioia o la tua selvaggia fermezza contro qualcuno o qualcosa?
Ci si sente dio, per quell'istante, quell'istante che precede l'affermazione violenta di se stessi.
La divinità sta nell'affermarsi.

Rotoliamo

Io sono più giovane di te e più vecchia di lei.
Tu sei più vecchio di lui e più giovane di me.
Giovane? Vecchio?
Non ha senso. Invecchiamo tutti.
Non esistono né giovani, né vecchi
esiste solo un mucchio di gente che rotola
lungo un piano inclinato
tentando inutilmente di aggrapparsi 
a un qualsiasi appiglio
per rallentare la corsa.

martedì 7 febbraio 2012

Non voglio diventare ricca.
Sarei solo un'arricchita.
E se c'è una cosa che odio più dei ricchi, sono gli arricchiti.

giovedì 19 gennaio 2012

Sproloqui su una traversata del Mar Bianco, agosto2011, Russia

Faceva freddo, e tanto anche, ma eravamo tutti troppo estasiati, troppo entusiasti, troppo pieni di vita per rendercene davvero conto. Avevamo davanti il mondo, la Natura, con la "N" maiuscola, che tanto ha fatto impazzire di paura e di felicità i romantici (e non solo loro).
Non si può descrivere, in alcun modo.
Era un tramonto, ma nessuno degli aggettivi che conosco potrebbe trasmettere le emozioni, le sensazioni che esso riusciva a trasmettere. Si finisce sempre con l'essere ridicoli quando si parla di tramonti, perché dei tramonti non si può parlare, non si può scrivere di un tramonto, devi esserci, punto.
Era un tramonto da film romantico, di quelli che pretendono il bacio dei due amanti e la musica soffusa di sottofondo, di quelli che sfumano in una notte stellata, di quelli da cartolina.
Talmente bello da togliere il fiato, talmente vero e reale da cancellare ogni altra cosa all'infuori di te stesso.
E c'eri davvero solo tu davanti a quella meraviglia. Tutto il resto scompariva: gli orrori nei gulag, le torture, le persecuzioni, il dolore, la fame, la stanchezza.
Davanti alla bellezza ogni cosa brutta, cattiva, improvvisamente perde di senso, perde il suo motivo di esistere.
Davanti a quel tramonto ho avuto l'impressione che la parola guerra, la parola deportazione, la parola morte fossero "sbagliate", impensabili. Erano svuotate, prive di significato e quindi non avevano ragione di esistere.

Ma poi mi torna alla mente il verso di una poesia, scritta da un deportato:
"non abbiamo mai avuto il tempo di notare/ il tenero profilo imporporato dal tramonto."
Forse allora l'orrore, l'odio hanno la forza di sconfiggere anche la bellezza, SOPRATTUTTO la bellezza?
Forse è una bugia che "la bellezza salverà il mondo", come diceva Dostoevskij?
La verità è che, per quanto quel tramonto fosse straordinario, non serve, non basta a fermare la violenza.
Ma in teoria dovrebbe bastare! C'è talmente tanta bellezza nascosta in ogni angolo, nelle forme più semplici, che l'uomo non dovrebbe trovare il tempo di fare nient'altro se non ricercarla e ammirarla. Non troverebbe il tempo per pianificare l'uccisione di migliaia di uomini, per muovere una guerra contro un altro Stato, o anche solo per insultare il prossimo.
E' un ragionamento infantile, ne sono consapevole.
Ma uno Stalin appassionato, che ne so, di botanica forse non avrebbe trovato il tempo per rendere l'ideologia comunista un abominio. Avrebbe passato le sue giornate a impollinare fiorellini e a bearsi dei colori, delle sottili geometrie, del miracolo di un germoglio che nasce.


"A diciassette anni imparavamo ad amare,
a venti imparammo a morire,
a sapere che andava ancora bene
finché ci permettevano di campare.

A venticinque imparammo a barattare
la vita con qualche aringa, legna e patate;
non abbiamo mai avuto il tempo di notare
il tenero profilo imporporato dal tramonto."

(M.Frolovskij, 19 febbraio 1928)

giovedì 12 gennaio 2012

Non sembra anche a voi che fossimo tutti molto più felici prima?
Prima di diventare grandi, intendo.
Prima di diventare ciechi, sordi e muti.
Separiamo, parcellizziamo, dividiamo per conoscere.
Ma la felicità della conoscenza si può avere solo nell'unione, nella totalità.

mercoledì 11 gennaio 2012

La poesia è strana
non sempre è bella
raramente piace a tutti,
ma quando piace
anche solo a una persona
diventa forte
e quasi niente la sconfigge più.
La poesia non è niente,
nel migliore dei casi
sono parole imbarazzanti
su un foglio
che qualche voce tremante sussurrerà.
La poesia è inutile
non mangi con la poesia
non campi con la poesia,
stupido folle.
Però noi scriviamo poesie
noi leggiamo poesie.
Anche solo per sentirci migliori
per un istante.
Quindi siamo tutti pazzi,
ma tranquilli:
se lo sono tutti, non lo è più nessuno.
Ci sono cose talmente brutte che quando accadono arrivi a sperare che non ci sia un motivo...perché se ci fosse sarebbe talmente crudele, talmente ingiusto da bruciare tutte le tue speranze, da scaraventare giù dal cielo qualsiasi dio esista.
Ma non è questo il caso, fortunatamente.
Ci sono cose ben più terribili di quello che ti ho fatto io.

venerdì 6 gennaio 2012

" 'Cause you know sometimes words have two meanings."

Ho paura

Paura del domani, di quello che mi attende
ma non si fa vedere, rimane nascosto,
in silenzio, mentre aspetta che io faccia
un passo falso.
Ho paura di tutto quello che non so,
che non conosco.
Ho paura del fatto che rimarrà sempre al di fuori
del mio controllo.
Ho paura della voragine
delle mie inadeguatezze.
Ho paura dei miei egoismi, che scavano un fossato
fra me e gli altri.
Ho paura degli altri.
Soprattutto ho paura di non capirli e per questo
di ferirli, di offenderli.
Ho paura di non riuscire ad ammettere
di aver bisogno di un altro al mio fianco.
Ho paura di restare sola.
Ho paura di confondere la libertà con l'autonomia
ed entrambe con l'egoismo.
Ho paura di non trovare il mio posto
nel vasto mondo che mi si apre davanti,
di essere il pezzo anomalo di un immenso puzzle,
che non riesce ad incastrarsi con nessun'altro.
Ma allo stesso tempo ho paura di incastrarmi,
di combaciare perfettamente, di scomparire
nella moltitudine, nella massa.
Ho paura che i miei sogni prendano il sopravvento
e mi impediscano di accettare la realtà.
Ho paura che la realtà calpesti i miei sogni,
rendendoli puerili illusioni.
Ho paura di svendermi.
Di corrompermi.
Di non affermare la mia dignità.
Di cessare di indignarmi, di arrabbiarmi, di combattere.
Ho paura di abituarmi.
Di ritenere tutto dovuto, tutto ovvio.
Ho paura di tradire.
Ho paura del tempo e del fatto che se ne vada
senza aspettare che io sia pronta.
Ho paura di cedere, di lasciare che la paura prenda il sopravvento,
di permettere che paralizzi i miei movimenti,
che mi induca a pensare
che a nulla vale credere in qualcosa,
mentre non possediamo altro
se non quello in cui crediamo.

giovedì 5 gennaio 2012

Salute

Servono meno dottori e più ambientalisti (quelli seri). Il peggiorare della salute del nostro pianeta è direttamente proporzionale al progredire delle nostre aspettative di vita.

mercoledì 4 gennaio 2012

Cicerone pronuncia il suo discorso contro Catilina
(particolare), Cesare Maccari 
Come diamine facciamo a seguire gli insegnamenti dei grandi del passato, di tutti quegli ingegni illustri che hanno reso grande il genere umano, di tutti quei volti che troviamo sui libri di scuola, in un mondo che pretende servilismo, che ci costringe, in ogni forma e grado, a fare buon viso a cattivo gioco, ad asservirci per sopravvivere?!
Leopardi, Foscolo, ma come loro mille altri: Seneca, Cicerone, lo stesso Catilina per certi versi, l'immenso Dante! Che valore, che utilità ha il loro studio nella scuola di oggi se poi le stesse strutture di questa scuola ci impediscono di mettere in pratica i loro insegnamenti? Se le loro parole rimangono solo segni sulla carta, libri polverosi su uno scaffale?
Noi leggiamo le loro opere, analizziamo le loro scoperte, ammiriamo la loro arte, ma ci fermiamo lì, non facciamo nulla per rendere i loro pensamenti reali, effettivi. Li consideriamo belle utopie, eleganti voli della mente, sorridiamo compiaciuti e poi chiudiamo il libro. Come se non fosse avvenuto nulla.
Peggio ancora, se proviamo effettivamente a vivere secondo i loro dettami ci accorgiamo di quanto questo sia impossibile nella nostra realtà quotidiana: a quanti compromessi dobbiamo scendere per rispettare le convenzioni sociali! Quante libertà dobbiamo negarci solo perché "non sta bene"! Quante volte dobbiamo tenere a freno la lingua, dobbiamo comportarci con diplomazia! Evviva il "politically correct"!
Ma arrivati a un certo punto anche un moderato Dante si altera! Per non parlare dell'ardente Foscolo. E Cicerone poi non fa altro che incazzarsi come una belva e strillare e agitarsi!
E allora? Che si fa?
Incazzarsi, e assumersi poi le conseguenze delle proprie azioni, qualunque esse siano? O scendere a compromessi, tacere e aspettare pazientemente il momento della riscossa?


"Io taceva, ma si sentiva ancora un fremito rumoreggiare cupamente dentro il mio petto."
(Le ultime lettere di Jacopo Ortis, Ugo Foscolo)

Saltatempo, Stefano Benni

"Poi ebbi una visione, come l'esplosione di un altissimo fungo atomico di cretineria e le scorie ricadevano su ogni punto del nostro paese, affollate metropoli e sperdute lande, e l'effetto era un rincoglionimento totale, cosmico, indescrivibile. Nessuno aveva ancora capito che quell'elettrodomestico lì era il balcone dei Beniti futuri."

Leggete questo libro gente, leggetelo.
Perché non è solo un libro: è una prospettiva, è un grido, è una mano che ti fa il solletico e ti fa ridere, è una mano che ti dà uno schiaffo e ti fa pensare.

martedì 3 gennaio 2012

Gli spiriti grandi

Ci sono spiriti grandi,
che vivono la vita davvero.
E non si lasciano vivere dalla vita.
Sono padroni dei loro destini.
Spesso bruciano violentemente,
in una sola, sfolgorante, bellissima fiammata.
Spesso non li capiamo e vivono tutta la vita
da estranei, da incompresi, da diversi.
Ma sono questi
gli spiriti grandi.
I geni, gli eroi, tragici e bellissimi, eterni e incorruttibili.
I soli che hanno saputo sconfiggere l'unico vero nemico,
l'unico contro cui valga la pena di lottare:
l'oblio del tempo che scorre e cancella.
Non si fanno afferrare da noi,
solo sfiorare.
E quando le nostre dita,
tese, riescono, per un istante,
a raggiungerli,
comprendiamo improvvisamente la vita stessa.
E comprendiamo
quanto sia lontana la nostra
esistenza
dalla vera vita.

L'Avvelenata

Come è possibile intuire dalle citazioni, dal mio nome utente e persino dal nome del blog (sì, sono ridondante e ripetitiva) mi piace un gran tanto Francesco Guccini.
Quindi sorbitevi questa perla:
http://www.youtube.com/watch?v=N9cfx-ATVOU&feature=related

"Di solito ho da far cose più serie, costruir su macerie, o mantenermi vivo."
Ecco, qui è riassunta con straordinaria perizia la mia giornata tipo.
Raccolgo i cocci delle mie manchevolezze e tento di riparare il tutto con abbondante colla vinilica impegno.
Cosa che non sempre riesce. Ma nessuno è perfetto, giusto?
Altra attività che svolgo con frequenza è arrabbiarmi e polemizzare. Con tutti: genitori, sorelle, amici, professori, zii, oggetti elettronici (sono i più terribili), libri, mobili, ecc. ecc.
Ecco perché "Avvelenata": perché sono una gran rompipalle, perché non mi va mai bene niente e soprattutto perché una mia amica scema disse che (cito testualmente): "riassume il lieve cinismo e il crudo realismo con cui commenteresti il mondo ".
E non credo di poterla smentire.

Anno nuovo...anno nuovo.

Ogni anno si ripete identico, alla fine dei conti.
Gioie e disgrazie si alternano, momenti belli lasciano il posto a momenti tristi e viceversa.
E l'eterna ruota del tempo si muove.
E noi siamo "sempre gli stessi, sempre diversi". E trovo che questo sia fantastico.

Siamo piccole marionette affaccendate: e la cosa più folle e straordinaria della nostra natura è che continuiamo a pensarci padroni del mondo, crediamo che tutto sia qui per noi, che tutto e tutti siano a nostra disposizione. "Ognuno vive dentro i suoi suoi egoismi, vestiti di sofismi", nonostante le belle parole, nonostante le strette di mano e gli abbracci che ci scambiamo tutti così volentieri in questi giorni di festa. E trovo che questo sia un po' meno fantastico.

Ebbene sì, sono polemica.

A rigor di logica questo dovrebbe essere un post di apertura.
Dovrei presentarmi.
Scrivere perché ho iniziato un blog.
Salutare i parenti a casa e gli amici fedeli. Il cane, il gatto.
E balle varie.

Ma a me non piacciono i fronzoli e i convenevoli.
Quindi vado a cominciare così, brutalmente.
E a culo tutto il resto. Per l'appunto.