giovedì 1 marzo 2012

Caro amico ti scrivo,

perché è come se all'improvviso fossi stata costretta a realizzare che tutti quei tizi come te, tutti quei signori barbuti, un po' burberi, ma genuini, onesti intellettualmente e moralmente, tutti quei signori che scrivono, cantano e suonano le canzoni che mi salvano dal degrado mentale e che mi hanno insegnato, alla fine dei conti,
a vivere, non sono immortali.
E io non lo avevo mai realizzato veramente, non lo avevo mai focalizzato. E ciò mi destabilizza. come destabilizza la morte di qualsiasi persona a noi cara. Perché se si pensava di poter sempre contare sulla sua presenza, poi si è costretti a rivedere questa certezza. Si è costretti a rifare i calcoli.
Certo, "rimane la musica", come si affannano a ricordarci tutti.
Quelle canzoni, quelle parole almeno non muoiono, le avremo sempre. Basterà mettere su un disco, schiacciare un tasto, e le voci di coloro che se ne sono andati ritorneranno fra di noi, beffando la morte.
E noi, chiudendo gli occhi, potremo permetterci di cullarci nell'illusione consolatoria di credere che tutti loro sono ancora qui, ancora per noi, a spiegarci il mondo, a cantarci la vita.

"Ma l'America è lontana
dall'altra parte della luna."