martedì 18 dicembre 2012

Una chiacchierata con papà

Avevo scritto una poesia sulla neve e su quanto quest'ultima renda tutto più candido e pulito. Mi sentivo felice e in pace con il mondo. Ero felice come un bimbo. Ma poi l'ho riletta da sobria e mi sono accorta che è veramente imbarazzante. E mi sono accorta anche di non aver mai pubblicato una riflessione fatta un po' di tempo fa dopo una discussione avuta con mio padre. Quindi eccola, direttamente dalla me di due mesi fa.
Meglio tardi che mai.


Noi italiani abbiamo sempre trovato il modo di cavarcela grazie alla nostra capacità di "cambiare bandiera" quando la situazione cominciava a farsi buia. In termini più gentili si potrebbe dire che abbiamo una grande capacità di adattamento, una propensione al "trasformismo", un'ottima abilità nell'analizzare le situazioni e altrettanto ottimi riflessi. Insomma, siamo un popolo che "sa stare al mondo", come si dice. Un popolo in grado di cacciarsi nelle situazioni peggiori e comunque, in qualche modo, bene o male, di venirne fuori.
Ma a che prezzo?
Il prezzo è un imbarazzante relativismo morale.
Il prezzo è che siamo tutti, allo stesso tempo, santi e assassini, eroi e farabutti, combattenti per la patria e traditori.
Così l'Italia è al tempo stesso il "partigiano traditore", ma anche il "fascista traditore". Entrambi traditori, di cosa esattamente non lo sa nessuno.
Perché se il "giusto" sta chiaramente "dalla parte" del partigiano, altrettanto vero è che il termine partigiano raccoglie al suo interno una molteplicità di idee, di aspirazioni, di progetti, di debolezze anche. La base comune è l'antifascismo e la lotta per la Liberazione, ma poi le sfaccettature sono infinite. Non dimentichiamoci, ad esempio, che i fascisti della prima ora sono diventati poi, in molti casi, gli antifascisti dell'ultima. Se a muoverli sia stata la paura, un calcolo di convenienza o una sincera presa di coscienza è difficile stabilirlo. E non dimentichiamoci nemmeno che gli eroi partigiani, in molti casi, alla fine della guerra, si lasciarono andare a violente e a vendette contro coloro che durante gli anni del regime avevano, più o meno con convinzione e buonafede, appoggiato il duce.
Non mancano ovviamente i casi di personaggi integerrimi, come ad esempio Emiliano Rinaldini, nell'ordine cristiano, maestro e partigiano, che aveva fatto del servizio agli altri la sua missione e che il 27 luglio del 1943, all'indomani dell'arresto di Mussolini e della caduta del fascismo scriveva:

"Dobbiamo essere contenti dell'accaduto, ma dobbiamo pur guardare realisticamente a quello che ci resta da fare. Il lavoro da fare è enorme. Riuniamo le nostre forze con lo spirito cristiano d'unità e attendiamo gli ordini. Sentiamo la responsabilità del momento, la responsabilità assunta in questa libertà. Non allontaniamoci, non andiamo in vacanza, per essere poi ancora una volta desiderati assenti. Siamo col popolo se manifesta idee buone."

Non andiamo in vacanza.
Siamo col popolo se manifesta idee buone.

Ci ha detto tutto, tutto quello che serve sapere per costruire uno Stato decente.
Partecipazione e capacità critica. Basta indifferenza, basta populismo.
Dopo settant'anni non l'abbiamo ancora capito.

Mi fa male pensare queste cose, mi fa male parlare con mio padre, che crede che l'unica soluzione per "noi giovani" sia lasciare questo Paese e andare all'estero. E non è l'unico a pensarlo. E avranno anche ragione.
Ma non riesco a darmi per vinta. Anche se non so quale sia il modo per risolvere la cosa.
Forse uno è cominciare a crederci, convincersi che abbandonando la nave che affonda forse salveremo noi stessi, ma di certo non potremo impedire che quella nave si inabissi.
E a questo punto le cose si fanno abbastanza semplici.
La domanda da porsi è solo una:
"Mi accontento di salvare me stesso, sono soddisfatto così, oppure credo che non mi serva a nulla la felicità personale se non so condividerla con gli altri e se non so fare in modo che anche gli altri la possano raggiungere?"

P.S. E non si tratta di mettersi la coscienza a posto con l'elemosina, le opere pie o il volontariato.
Si tratta di creare le condizioni affinché il benessere tanto osannato sia effettivamente raggiungibile da tutti. Altrimenti è solo pubblicità, sono solo parole a vanvera. E fra altri settant'anni il discorso sarà sempre questo.
E a quel punto chi si azzarderà a parlare di progresso dovrà essere imprigionato per calunnie e sfruttamento della credulità popolare.