martedì 28 agosto 2012

Promemoria:

"Secondo lei, solo i rivoluzionari all'indomani della vittoria e i grandi primitivi sanno scopare come si deve. Gli uni e gli altri hanno l'eternità in testa, scopano al presente dell'indicativo, come se dovesse durare per sempre. In qualsiasi altro posto al mondo si fotte al passato o al futuro, si commemora o si costruisce, ci si perpetua o ci si moltiplica, ma nessuno si occupa di se stesso. [...] Voglio dire occuparsi di sé, qui, dell'uno e dell'altro, in questo momento, di te e di me..."

Daniel Pennac, Il paradiso degli orchi

domenica 26 agosto 2012

Oggi ho visto una rondine morta.
Sono uscita dal portone di casa ed eccola lì, ai miei piedi.
Piena di formiche.
Il cerchio della vita che si chiude.
Fossi Pascoli scriverei dei suoi pulcini, della loro vana attesa.
Ma magari era una rondine single. E non aveva pulcini a carico.

mercoledì 15 agosto 2012

Gli occhi del vecchio

Seduto sulla seggiola, ingobbito,
torna ritto e fiero quando comincia il racconto.
I suoi occhi riprendono a vedere chiaramente,
non sono più offuscati dagli anni,
perché gli anni li annulla il ricordo.

Mi racconta di quella volta
quando lui e suo nonno,
di notte, nel monte
vennero sorpresi dal temporale.
Mi racconta del riparo,
due rami e una coperta,
e dei funghi che a migliaia
il mattino dopo erano spuntati.

Quasi si commuove nel ripensare
alla professoressa di italiano,
che tanto gli fece amare la poesia.
Come in suo onore si lancia
recita Leopardi, Dante,
la pioggia di D'Annunzio,
lo sguardo alto, la mano tesa,
non sbaglia un verso
per quella maestrina appassionata.

I baffi nascondono un mezzo sorriso
quando pensa agli scherzi, alle bravate;
da ragazzo e da uomo
lo hanno sempre accompagnato.
Strizza gli occhi, con aria complice
mi stringe un braccio,
mi indica le sigarette fumate di nascosto
il profumo dei mandarini,
mangiati per mascherare l'odore del fumo.
E mille altre risate gli tornano alla mente
e gli occhi gli si illuminano,
torna ragazzo e sembra pronto
a ripartire correndo,
fuori dalla casa, nel campo,
fra i meli e le viti.

Gli occhi ora sono lontani,
persi sui volti di personaggi
quasi mitici, bizzarri e magici,
buffoni e signori, folli e saggi,
morti da mezzo secolo, ma
così vivi nella sua memoria
che quasi anche a me
sembra di conoscerli,
di vederli accanto al fuoco,
vicini a una finestra,
su un camion carico di pali e di fieno.

A tratti sorride,
poi s'incupisce, interrompe
il racconto, scende il silenzio.
Rimane lui solo con i suoi occhi
persi nel passato di qualche ricordo lontano
o forse tesi in avanti, con un po' di paura
ma con la forza di chi ha visto,
con la sicurezza di chi ha vissuto.

sabato 11 agosto 2012

Non so più scrivere.
La mia testa è vuota e non manda stimoli alle dita. Il mio cervello si rifiuta di analizzare quello che mi succede. E quindi mi ritrovo a fare errori madornali. O a non fare assolutamente nulla, che è anche peggio.
Si tratta di un vero e proprio rifiuto. Non voglio affrontare il presente, sfuggo dalle scelte che devo fare e dalle situazioni che devo risolvere.
Ma in questa generale apatia la lettura mi salva.
(Sorvoliamo sul fatto che la lettura è l'ennesima scappatoia dal mondo reale).
L'ultimo libro che ho letto è stato Lessico Familiare, di Natalia Ginzburg.
Gran bel libro che, fra le altre cose, mi ha fatto riflettere.
Non dovevo nascere negli anni Novanta dello scorso secolo.

Il sospetto di essere nata nell'epoca sbagliata ce l'ho da tempo. Il mio continuo tendere al passato è qualcosa che va al di là della semplice curiosità per la storia, è piuttosto un voler immergersi in una realtà già definita, conclusa in se stessa, quindi completa, sicura.
Certo, è un comportamento da perfetta vigliacca, me ne rendo conto.
Ma al di là di questo dico di essere nata nell'epoca sbagliata perché mi sembra di essere totalmente incapace di fronteggiare la realtà di oggi, la società odierna.
Mi mancano gli strumenti, mi mancano le parole per descriverla e per comprenderla. Mi ritrovo così a rimpiangere un'epoca più semplice, più "onesta". La rimpiango come se mi fosse appartenuta un tempo e l'avessi poi persa, mi fosse stata sottratta.

Non so a quale passato io appartenga.
Non so se la mia casa è la Parigi della Rivoluzione, l'America degli anni Sessanta o l'Italia del '45.
L'unica cosa che so è che mi sento estranea e straniera in questi anni del secondo millennio dopo Cristo.
Sento la mancanza di un tempo antico dove ancora esistevano le grandi passioni, l'odio e l'amore, la vendetta, la lotta. Un tempo dove il bene si distingueva dal male, dove il bianco e il nero non si mescolavano, come accade oggi, in un triste grigio che cancella le differenze. Mi sento orfana di un mondo in cui contavano ancora le idee, in cui esistevano gli uomini disposti a viverle, senza cedere ai compromessi.

Ma in fondo so bene che il Passato un tempo è stato Presente, è stato cioè confuso e incerto per le persone che lo stavano vivendo, come confuso e incerto mi appare il presente oggi, mentre lo vivo.
Cavolo, che pensiero contorto.
Voglio dire che ciò che oggi mi appare definito e chiaro un tempo era avvolto nell'incertezza e solo il velo della storia ha sistemato le cose.
La sicurezza è qualcosa che si conquista con il tempo, insomma.
Credo.