martedì 17 settembre 2013
sabato 7 settembre 2013
God bless America, e se...?
Riflettevo e mi sorgevano dubbi terribili.
E se non ci fosse altra soluzione?
E se gli Americani fossero, in un certo qual modo, "costretti" a questo intervento?
Dicevamo che dobbiamo guardare in faccia alla realtà e non lasciarci abbindolare da favolette per bambini e utopie: i discorsi sulla pace e sulla fratellanza sono solo ipocrisia. Ma andiamo oltre: troviamo il coraggio di dire che la pace assoluta non esiste. Non esistono nemmeno le soluzioni diplomatiche, soprattutto se l'interlocutore è sordo a qualsiasi dialogo.
"Quelle connerie la guerre" lo scrivono con sincerità solo i poeti.
"Costruiamo un mondo di pace" lo può dire solo il papa oggi. È il suo mestiere.
Ma purtroppo il mondo è sordo a questi appelli. È incapace di dialogare. Non vuole farlo.
E se la verità fosse semplicemente che gli Americani si stanno accollando un compito terribile, sicuramente impopolare, ma necessario?
E se il loro autoritarismo fosse inevitabile a causa del fatto che Cina e Russia stanno impedendo un intervento da parte dell'Onu, l'unico organo che dovrebbe avere l'autorità e il diritto per farlo?
Lo fanno perchè loro possono, certo. Lo fanno perchè sono potenti e non lo nascondono. Ma forse lo fanno perchè VA FATTO, perchè se nessuno intervenisse non ci sarebbe più alcun modo di controllare la violenza.
Non intervenire, non fermare un crimine, significherebbe dare il proprio silenzioso consenso a quello e ad altri crimini.
Gli americani hanno la forza e i mezzi per intervenire: da grandi poteri derivano grandi responsabilità, no? Loro hanno la terribile responsabilità di decidere se intervenire o meno.
Se per strada vi trovaste di fronte un uomo che sta picchiando a sangue un altro, che fareste?
Chiamereste la polizia.
E se questa non intervenisse sostenendo che prima deve essere certa che questo pestaggio stia realmente avvenendo?
Interverreste voi stessi.
Ma come?
Cercando di far ragionare il picchiatore.
E se costui non vuole ragionare? Come lo fermereste?
Con la violenza. L'alternativa sarebbe restare a guardare, magari soffrendo per la sorte del pestato, ma senza poter far niente.
Ora la domanda è: quanta violenza sareste disposti a utilizzare?
Il meno possibile, lo stretto necessario per fermare il picchiatore. Ma dovreste pur sempre utilizzare la forza. E il limite non dipende da voi, ma dalla resistenza e dalla perseveranza del picchiatore. Quanto più lui resiste e continua a pestare il malcapitato di turno, tanta più violenza voi dovete utilizzare per fermarlo. Fino a dove sta alla coscienza di ciascuno deciderlo.
Il problema è solo questo: capire quanta violenza sareste disposti a utilizzare per fermare altra violenza. Perchè il mondo funziona così, non facciamoci illusioni.
sabato 31 agosto 2013
God bless America, il ritorno
E non sto dicendo: freghiamocene e guardiamoli mentre si scannano. Sto dicendo che bombardare a cazzo non è la soluzione. Sto dicendo che non c'è scritto da nessuna nessunissima parte che il compito di intervenire sia degli americani. Soprattutto sto dicendo che hanno svangato la minchia con i loro "interventi militari mirati al ristabilimento di condizioni democratiche". Non si esporta la democrazia. Non la si esporta. Altrimenti muore, non attecchisce e muore, insieme a milioni di persone. "La democrazia nasce in seno ai popoli", Che Guevara. Non sono pronti a questo? Non sono in grado di costruire da soli una democrazia? (Perchè, noi ne siamo capaci? Noi italiani tanto sviluppati e occidentali, ne siamo capaci?!). È vero. Non sanno gestire questa cosa, per ragioni culturali, religiose e anche per colpa degli occidentali.
La mia soluzione? Andiamo tutti a ripetizioni di democrazia e di civiltà dai paesi del nord europa. I libri di testo sono i classici del pensiero greco, gli illuministi francesi della rivoluzione, i leader pacifisti di mezzo mondo, i poeti romantici, i nonni partigiani, le lettere dei condannati a morte dei gulag e i riccioli di capelli dei morti nei campi di sterminio. Andiamo a scuola. Impariamo.
God bless America
Sto cercando di capire in base a quale diritto uno Stato può decidere di intervenire militarmente contro un altro Stato.
È il diritto del più forte? È questo che regola ancora il mondo? Non é cambiato proprio niente.
La Siria può aver utilizzato tutto il gas tossico che volete. Ma ciò non autorizza minimamente gli Stati Uniti a bombardare a deatra e a manca.
Non riesco a capire come si possa essere così pieni di sè da pensare di essere investiti della missione divina di liberare il mondo dai cattivi.
Soprattutto, non riesco a capire come si possa essere così sicuri di essere, sempre e comunque, i "buoni".
Beh, certo, questa malattia è universale, non ne sono affetti solo gli americani.
Ma non voglio più sentire parole di pace, basta discorsi sulla fratellanza dei popoli e sull'armonia fra le nazioni. Basta. Sono parole ipocrite, false, che rendono ancora più difficile sopportare quello che stiamo vedendo in questi giorni. Oltre il danno anche la beffa, non vi sembra un po' troppo?
martedì 16 luglio 2013
Poteri magici
Posso dormire cento giorni senza annoiarmi mai
Avere come amico solamente un bonsai
Leggere un libro e volare oltre il mare
Posso fingere di credere, fingere di amare
Saltare dieci pasti e abbuffarmi di notte
Andare avanti ogni giorno con le ossa rotte
Posso volere mille cose e non farne nessuna
Posso cercare la ragione sulla faccia scura della luna
So capire tutto o niente quasi a comando
So viaggiare nel tempo semplicemente ricordando
Posso ascoltare una canzone e non saperla cantare
Posso non saper partire e voler sempre andare
Ma il massimo potere, lasciatemelo dire,
È resistere ogni giorno, nonostante il mio fallire.
mercoledì 26 giugno 2013
così, senza un futuro, in incertezza intenerita.
Pensavo: "Farlo o no? Parlare o no? Restare assieme e poi cambiarsi vita?
Ma se fossimo stati un' altra coppia fra le tante
avremmo trasformato tutto in quella poca gioia
o avremmo litigato per sfogare ad ogni istante l' urlare della noia?"
(Inutile, Francesco Guccini)
martedì 18 giugno 2013
Ballade des dames du temps jadis
(Vrancois Villon)
venerdì 31 maggio 2013
Così il sindaco Pisapia ha definito il rapporto fra Dario Fo e Franca Rame. In questa frase ha riassunto in maniera estremamente efficace la loro vita, le loro idee, le loro lotte e credo non esista definizione migliore per una storia d'amore.
"Uniti", perché a questo mondo siamo tutti esseri soli, ma abbiamo bisogno di un compagno, di qualcuno con cui dividere la nostra solitaria esistenza. Abbiamo bisogno di riempire il vuoto e di abbracciarci a qualcuno, anima e corpo. Abbiamo bisogno di compagnia, di comprensione, di sostegno. Abbiamo bisogno di amare e di essere amati, anche solo da una sola persona su 7 miliardi.
"Società più giusta, senza diseguaglianze", perché non basta rendere perfetta e idilliaca la propria personale realtà. Essa si inserisce inevitabilmente in una realtà più ampia, in una società con le sue ricchezze e i suoi problemi. Perché forse non c'è più la guerra, forse non ci cadono le bombe in testa, forse abbiamo da mangiare e abbiamo i soldi per arrivare (quasi) a fine mese, forse non c'è più una dittatura, forse siamo un paese civile, ma rimangono grandi, grandissime ingiustizie. Anche nel nostro Bel Paese, che ha tante pretese.
mercoledì 29 maggio 2013
Franca Rame, piccola acrobata
Vidi in un circo una bambina
Piccola acrobata, in cima
A una piramide di uomini
E il suo volto serio il pubblico sfidava
“Ci vuole coraggio” sembrava dire
e “Ridere non basta”.
Anni dopo l’ho vista
Con qualche ombra triste
Sul volto. Era caduta
Spesso, si era ferita.
Ora è una grande stella vive in un carrozzone
D’oro e di broccato
Ha sposato il re dei clown
Ma non ha dimenticato
Il vecchio circo
L’odore degli animali
La paziente fatica
Del porteur e dell’Augusto
Del trapezista che prova
Ogni giorno le sue ali.
E l’ho rivista in cima
A una piramide di uomini
(quelli di prima)
e il suo volto serio il pubblico sfidava
“Ci vuole coraggio”, sembrava dire
per restare quassù
e “Ridere non basta”.
Ma io non so che fare
Altro che miracoli
Io non ho altro
Nido che questo
Perché vorrei raccontarvi
Ciò che quassù io sogno.
Io so solo volare
Io non so fingere altro
Che verità.
(Stefano Benni)
"...cari compagni dell'altra sponda, cantammo in coro giù sulla terra, amammo in cento l'identica donna, partimmo in mille per la stessa guerra..."Invecchiare può non essere così traumatico, se ci si ricorda di mantenere vive alcune piccole cose.
giovedì 23 maggio 2013
Angelicamente anarchico
Eri un prete, ed eri venuto a parlare della Costituzione.
Non è un controsenso, non c'è nulla di strano in questo, è perfettamente normale. O almeno dovrebbe.
Ad un certo punto hai cominciato a parlare della Resistenza e ci hai fatto cantare Bella Ciao.
Eravamo tutti lì, giovani e vecchi, a cantare un po' commossi Bella Ciao per ricordarci che essere uomini significa anche dare la vita per quello in cui si crede, che sia la libertà dal nazifascismo o la salvezza degli uomini dalla morte eterna non cambia, in fondo è lo stesso.
Eri un prete e un comunista. Un prete tanto diverso da quelli che sono stata abituata a vedere. Forse eri solo l'eccezione che conferma la regola, ma io voglio pensare che in giro per il mondo ci siano tanti uomini di fede come te, persone che non si dimenticano degli uomini, anche se hanno donato la propria vita a un dio.
Eri un prete e stavi con gli ultimi, e questo suscita tanto stupore e tanta ammirazione, anche se a me pare che questa dovrebbe essere la prassi, quantomeno per un prete. Stavi con quelli che "se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo", come cantava De André, come insegnava Cristo.
Eri e rimarrai un esempio da seguire, un piccolo prete con una grande voce, una grande forza nelle braccia, con la rabbia della disperazione degli ultimi negli occhi, con un grande amore nel cuore.
"Alla fine Dio non ci chiederà se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili".
(Don Andrea Gallo)
sabato 11 maggio 2013
Nel Paese che vorrei
oggi Piazza Duomo sarebbe stata vuota.
Nemmeno l'ombra di un sostenitore o di un contestatore.
Berlusconi e i suoi avrebbero parlato al massimo ai piccioni.
Come tutti i piccioni alcuni si sarebbero lasciati abbindolare da un po' di briciole, altri, più critici, avrebbero cagato in testa ai politici presenti.
Ma solo dei piccioni si sarebbero sprecati tanto, perché una piazza con certi personaggi non sarebbe nemmeno stata degna di attenzione per degli uomini.
lunedì 8 aprile 2013
solo la morte
il dolore
il distacco
la sofferenza
la rabbia
l'indignazione
muovono la mia penna.
Forse perché
come Luigi
quando sono felice
esco.
Forse perché
scrivere
è il solo modo
che conosco
di affrontare
il mal di vivere
il rivo strozzato
delle mie giornate
le foglie accartocciate
della mia vita.
Forse perché
Leopardi
sarà sempre il mio primo
amore poetico
lui che aveva capito
anche se oggi
non possiamo ammetterlo
per vergogna
per paura
perché preferiamo sempre
l'illusione alla verità.
Gli epitaffi
in fondo
sono la forma
più antica
più nobile
di letteratura.
Si ricorda
ciò che è stato
chi è stato
e non è più.
Ciò che torna ad essere
solo nel ricordo
e per sempre
fino a che la parola resterà.
Ricordare
è l'epitaffio senza fine
della Storia
per la Storia.
sabato 6 aprile 2013
Cos'è questo golpe? Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so.
Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
(Corriere della Sera, 14 novembre 1974)
lunedì 1 aprile 2013
avere la forza e l'ardore di quel
"per sempre tuo, per sempre tuo,
per sempre tuo".
Vorrei sapere sempre con certezza
quello che ora so.
Vorrei anche alla luce del giorno
la risposta che ora ho.
Vorrei riuscire a confessarla a me stessa,
io, che con me non parlo mai
e non so più se l'orgoglio
è davvero un problema o è solo una scusa.
Vorrei dirti che scrivo poesie,
che le canzoni mi parlano di te
quando di te non so parlare
e non ho nulla da raccontare.
Perché se
razionalmente
io mi metto a pensare
non so più nulla,
su di te, su di me
e nemmeno questa poesia
riesco a finire.
Alla mia nazione
mercoledì 13 marzo 2013
E ora mi sento una dea, una sibilla: prevedo il futuro!
E poi San Francesco, per quanto mi riguarda, è l'unico motivo per cui essere fieri di essere cristiani. La sua figura di uomo, prima ancora che di religioso, ha dello straordinario: è riuscita a rivoluzionare completamente la società del suo tempo, ha diffuso cultura, ha proposto una nuova idea di Chiesa, ha avuto il coraggio di dire ai potenti del tempo, con grande umiltà: "Guardate che state sbagliando tutto."
Sono queste le figure che mi piacciono.
E quindi io che sono una sognatrice mi illudo che dietro alla scelta di quel nome ci sia una volontà seria di cambiare le cose. Io la vedo come se avesse detto: "Ok, vecchi, guardate che quel fraticello di Assisi era un figo, aveva ragione! Proviamo a fare come lui, dai!"
Poi probabilmente sbaglierò e le cose non cambieranno. Ma questi bei momenti folkloristici, la piazza piena, i commenti assurdi dei telecronisti, i fedeli in preda a estasi di gioia servono anche ad illudersi e a lasciare spazio alla fantasia.
Quindi io mi aspetto che da domani vengano abolite tutte le tuniche e i paramenti e che i cardinali inizino a girare vestiti con sacchi di patate.
E sarebbe solo l'inizio.
mercoledì 27 febbraio 2013
Indignez-vous!
(Stéphane Hessel)
Oggi ci lascia un vecchio partigiano di 95 anni.
Sì, ci lascia: ci lascia una grandissima e immortale lezione di vita, ci lascia un esempio bellissimo e ottimista, talmente luminoso che riesce ad allontanare un poco l'oscurità che, sempre di più, soprattutto in questi giorni, in questo cupo panorama post-elettorale, sembra ingoiare tutto.
Finché ci saranno persone così, ci sarà speranza.
E persone così ci sono, credetemi! Sono le rare e preziosissime mosche bianche. Che non sono, banalmente, "quelli che la pensano come te". Sono quelli che vivono ogni giorno le parole che dicono, quelli che sanno riconoscere la bellezza, quelli che distinguono ancora il bene dal male, quelli che si impegnano a cambiare il loro piccolo mondo, a migliorare quello che loro,direttamente, possono migliorare.
Ringrazio loro, ringrazio Hessel, ringrazio tutti quelli che, con il loro esempio, mi permettono di tirare avanti, di non perdere la fiducia, di continuare a resistere. Tutti quelli che mi fanno dire: esiste ancora l'Uomo.
lunedì 25 febbraio 2013
E allora faccio parlare altri, anche perché io non ho proprio più parole:
(Fabrizio De André, Canzone del maggio, 1973)
Elezione, brutta lezione
venerdì 22 febbraio 2013
Non è una parola bellissima?
Valorosa e tagliente, con la sua "v"!
Corta, ma forte, grazie alle due "o", così tonde e orgogliose.
E la "t" dà un grande senso di sicurezza, di stabilità.
Ma allo stesso tempo è anche veloce, mobile.
Può essere sia un sostantivo che un verbo.
Ed è bella da gridare, ma anche da sussurrare,
la su può usare come bandiera,
ma anche come una confessione,
silenziosa e potente.
La lingua italiana ha parole davvero interessanti.
Io voto
Anche io ne ho qualcuno.
Tipo:
Vi prego, vi supplico, votate bene. Altrimenti mi toccherà cambiare paese.
O:
"Nella cabina elettorale Stalin non vi vede, Dio sì" quindi, ragionateci per un istante: chi rispetta di più il vostro diritto a votare liberamente e in segreto?! Dio è un gran furbastro.
Oppure:
Se vince ancora il centro-destra, vi avverto, prendo il forcone di mio nonno e vi infilzo tutti.
O ancora:
Non fate cazzate.
Ne avrei anche altri. Ma mi fermo qui.
Quindi andiamo a votare, perché è un nostro diritto e un nostro dovere, certo. Ma anche e soprattutto perché la nostra disastrata democrazia funziona solo se ce ne interessiamo. I soggetti siamo noi, è il nostro lavoro, la nostra "missione". E allora nonostante la neve e le piogge torrenziali facciamo uno sforzo, prendiamo la nostra bella tessera elettorale, la carta d'identità, ombrello e cappello e andiamo a votare.
Che poi è anche bello, è anche emozionante! Quella croce su un foglio è un gesto così carico di significati, di storia, di idee e di prospettive che a pensarci bene viene la tremarella. Si tratta di una responsabilità enorme, che determina la sorte del futuro del nostro Paese, determina la Storia, senza mezzi termini.
Buone elezioni.
E che siano buone davvero.
lunedì 11 febbraio 2013
Dimesso un papa se ne fa un altro
Così tutti ora finalmente possono sfruttare la loro conoscenza di Celestino V, "colui che per viltà fece il gran rifiuto", e dimostrare di aver seguito le lezioni di italiano alle superiori.
Ora aspetto con ansia il Conclave, la fumata bianca, tutte queste cerimonie solenni e misteriose, che fanno tantissimo "forze oscure in azione"!
Vorrei tanto che venisse eletto un papa nero. Oppure un papa comunista! O una papessa!
Il massimo sarebbe una papessa nera comunista.
Al di là di tutto, quello che sarà più difficile sopportare saranno le immancabili dimostrazioni di ipocrisia: il papa è stato criticato tantissimo in questi anni, quasi odiato in certi momenti. E ora tutti i giornalisti si affrettano a riciclare i coccodrilli, a eliminare i commenti sulla "morte che ha lasciato privi di una guida miliardi di fedeli" e a sostituirli con commossi riconoscimenti "del grande gesto di coraggio dettato dalle condizioni di salute e dall'età avanzata".
E comunque non deve essere facile essere papa. Come non deve essere facile, più in generale, essere nessuna di queste grandi personalità. Noi questo tendiamo a non considerarlo, tendiamo a dimenticarlo. Non ci poniamo troppe domande, giudichiamo in fretta, senza pensare. Condanniamo o beatifichiamo senza pensare alle ragioni e ai problemi che questi uomini devono affrontare.
Ma al di là di tutte le polemiche, di tutti i commenti necessari o superflui che siano, credo sia impossibile non essere presi da una certa emozione in queste situazioni. Anche se della Chiesa Cattolica non ce ne può fregar di meno, anche se non si è credenti, anche se abbiamo detestato questo papa per le sue uscite sugli omosessuali, sul demonio e sui preservativi.
L'emozione di rendersi conto di essere di fronte alla Storia, di essere NELLA Storia, di camminare a fianco di avvenimenti che un giorno saranno raccontati nei libri.
venerdì 8 febbraio 2013
VICTOR HUGO, Discorso d'apertura del Congresso di Pace, Parigi 21 agosto 1849
Signori, la pace dura da trentadue anni, e i trentadue anni la mostruosa somma di 128 miliardi di franchi è stata spesa per la guerra durante la pace! Supponete che i popoli d’Europa, piuttosto che sfidarsi gli uni gli altri, di ingelosirsi, di odiarsi, si fossero amati. Supponete che essi si fossero detti di essere uomini prima ancora di essere francesi, inglesi o tedeschi, e se le nazioni sono patrie, l’umanità è una famiglia. E ora, questa somma di 128 miliardi, così follemente e vanamente spesa per sfiducia, che venga spesa per la fiducia! Questi 128 miliardi dati alla guerra, dateli alla pace! (…) Questa cosa è degna di meditazione. Le nostre precauzioni contro la guerra hanno portato alle rivoluzioni. Si è fatto di tutto, si è speso tutto contro il pericolo immaginario. Così facendo si è aggravata la miseria che era il pericolo reale. Ci si è difesi contro un pericolo che non c’era. Si scorgevano le guerre che non venivano, ma non le rivoluzioni alle porte. (…)
Ormai l’obiettivo della vera e grande politica è il seguente: far riconoscere tutte le nazionalità, restaurare l’unità storica dei popoli e vincolare tale unità alla civilizzazione attraverso la pace, allargare incessantemente il gruppo civilizzato, dare il buon esempio ai paesi ancora barbari, sostituire gli arbitrati alle battaglie; e infine – ciò che tutto ricapitola – far pronunciare dalla giustizia l’ultima parola che nell'antico mondo veniva proferita dalla forza.
Signori, lo dico in conclusione, e che questo pensiero ci incoraggi, non è oggi che il genere umano è in marcia con questa vista provvidenziale. Nella nostra vecchia Europa, l’Inghilterra ha fatto il primo passo, e attraverso il suo esempio secolare ha detto ai popoli: Voi siete liberi. La Francia ha fatto il secondo passo, e ha detto ai popoli: Voi siete sovrani. Adesso facciamo il terzo passo, e tutti insieme, Francia, Inghilterra, Belgio, Germania, Italia, Europa, America, diciamo ai popoli: Voi siete fratelli!
venerdì 11 gennaio 2013
Un pettirosso da combattimento
e ogni ministro è un "ministro dei Temporali", oggi che non basta più un "cannone nel cortile" per riuscire a rimanere liberi, perché ciò che ci impedisce di esserlo si trova venerato su altari nei nostri salotti,
oggi che le "regine del tua culpa" affollano sempre i parrucchieri
e siamo diventati dipendenti ormai dai gas esilarati,
oggi, caro Faber, grazie a dio abbiamo ancora la tua musica.
domenica 6 gennaio 2013
Damnatio mediatica
Quando appare evidente che un politico ha perso del tutto il lume della ragione, straparla, dice cose chiaramente false, rende ridicolo se stesso e il suo Paese, allora tutti i media, i giornali, le televisioni, le radio, internet dovrebbero censurarlo automaticamente. Per legge si dovrebbe vietare che qualsiasi sua dichiarazione venga trasmessa, riprodotta o trascritta. Così da non confondere, ingannare, turbare, commuovere e indurre gli elettori a votarlo.
Si deve pur fare qualcosa per impedire che un pazzo possa guidare uno Stato! Il problema quindi non è limitare la libertà di espressione di un cittadino, ma riuscire a stabilire inequivocabilmente la pazzia di un uomo politico. Perché purtroppo quello che sembra folle a me, per altri è ancora "il migliore statista degli ultimi vent'anni", "l'unica speranza per l'Italia", "la salvezza per non cadere in mano alla sinistra".
E mi rendo conto che sia una cosa brutta da dire, ma quando sento certe affermazioni e quando mi accorgo che molte persone continueranno a lasciarsi ingannare perdo un po' di fiducia nel popolo e credo un po' meno nella democrazia. E mi odio per questo.
sabato 5 gennaio 2013
Peperone rosse e gialle
Avrò avuto tre anni, quattro al massimo e tu abitavi ancora in parte a casa nostra, in quell'appartamento scuro e caldo, avvolgente come un grembo materno, in cui non sono mai più entrata.
Ero con te in cucina e tu preparavi le peperone. Avevi messo una sedia vicino al tavolo, mi avevi fatta inginocchiare sopra e mi mostravi come tagliarle e pulirle dai semini. Io osservavo i tuoi gesti, se chiudo gli occhi li vedo ancora con chiarezza sorprendente: il movimento del polso, il coltello lucente sul rosso e sul giallo della verdura. E intanto "chiacchieravamo", come può chiacchierare una bambina di tre anni con una donna di trenta.
Ti ho sempre associata alle peperone e ora lo farò ancora di più. Non potrò più toccare, tagliare, cucinare peperone senza pensare a te.
E' un dettaglio buffo, lo so.
E con il tempo, crescendo, ho collezionato molti altri momenti, altre espressioni di te, sicuramente più razionali, più ragionate: la tua calma sorridente, che spesso e volentieri vedevo contrapposta all'agitazione e alla frenesia di mia madre. E poi, negli ultimi tempi, la stanchezza che ti velava gli occhi, ma che affrontavi con un coraggio impressionante, che mi metteva in soggezione.
Ma su questi ricordi prevale quello spontaneo, ingenuo, quasi irrazionale delle peperone, che richiamano l'atmosfera lontana dell'infanzia, quel mondo sicuro dove i grandi sono invincibili, dove anche la malattia e la morte scompaiono.